FalceMartello n° 172 * 8-01-2004
Autoferrotranvieri
Preparare le mobilitazioni
future!
Nel mese di dicembre ha tenuto
banco la lotta dei lavoratori del trasporto pubblico locale. Lo sciopero
convocato il primo dicembre ha visto un’adesione straordinaria con il clamoroso
blocco totale dei mezzi attuato dai dipendenti dell’Atm di Milano che non hanno
rispettato le fasce del servizio garantito imposte dalla legge. Il successivo
sciopero del 15 dicembre ha visto un’adesione degna del primo; alcune città come
Torino e Brescia hanno seguito l’esempio dei tranvieri milanesi e bloccato i
mezzi per l’intera giornata; con la ripresa delle trattative, la mobilitazione
si è allargata in tutta Italia, al nord come al sud, scavalcando i limiti
imposti dalla legge e dalla concertazione sindacale.
di Fortunato Lania
L’esempio di Milano è servito a mostrare la strada
ai colleghi di Genova, Venezia, Cosenza, Livorno e di tutta Italia.
Un accordo bidone
La richiesta di 106 euro mensili non è altro che
l’adeguamento dei salari, fermi da anni, sulla base dell’inflazione programmata
dal governo, che è la metà di quella rilevata dall’Istat, la quale è un terzo
di quella reale. Nonostante esistessero tutte le condizioni per ottenere quanto
dovuto, nonostante la forza che il sindacato ha accumulato grazie
esclusivamente alla determinazione di tutti i lavoratori, è stato firmato un
accordo al ribasso, uno sconto su quanto dovuto e sottoscritto in passato. I
nostri diritti non possono essere venduti in saldo!
L’accordo raggiunto prevede un aumento di 81 euro
lordi e per un parametro di inquadramento che la maggioranza dei lavoratori non
raggiunge. Se ha suscitato scalpore il fatto che un conducente riceve in busta
paga appena 850 euro mensili, con l’accordo firmato non raggiungerà in ogni
modo nemmeno 900 euro. Per quanto riguarda l’una tantum, ci verrebbe elargita
la somma di 970 euro a fronte dei 2.900 dovuti: la cifra netta non basta a
coprire quanto perso con gli scioperi in questi due anni di mobilitazione. Per
non parlare della riduzione di un’ora dell’orario di lavoro prevista, di cui si
sono perse completamente le tracce… Non possiamo accettare che la straordinaria
mobilitazione di questi mesi sia svenduta per un piatto di lenticchie!
Quale giustificazione?
La giustificazione degli scarsi risultati raggiunti
è spiegata dai vertici sindacali nel classico modo in cui hanno chiuso
indegnamente tutte le battaglie perse: “Era il massimo che potevamo strappare”.
E così si elencano le aziende sull’orlo del fallimento o che hanno bilanci in
rosso come Roma con un deficit di 196 milioni di euro, Genova di 30 milioni,
Napoli di 87 milioni e così via; si citano le aziende del sud spesso di piccole
dimensioni e che non reggerebbero la “concorrenza” e con la loro crisi non sarebbero
garantiti nemmeno i lavoratori.
È una bella favola, ma pensare che si possano
tutelare i diritti dei lavoratori rispettando i bilanci ed i profitti aziendali
è completamente al di fuori della realtà. Non possiamo accettare che chi debba
difendere i diritti dei lavoratori si fermi di fronte ai dati del bilancio
aziendale: così si difendono le aziende! I padroni, i loro rappresentanti li
hanno già e difendono con tenacia i loro interessi! Magari il sindacato avesse
usato un decimo della loro tenacia per difendere noi lavoratori... Inoltre,
avere un bilancio in attivo o in passivo è spesso solo una volontà politica del
management, basta pilotare le stime di chiusura dei conti per modificare il
risultato di bilancio secondo le necessità aziendali.
Alle aziende non mancano certamente le risorse. Con
il passaggio all’euro tutte hanno ritoccato i prezzi dei biglietti verso
l’alto: a Milano è passato da 1.500 lire ad un euro, aumentando di circa il
30%. Lo stesso è successo in misura diversa ovunque. Come sono stati investiti
questi soldi? A Milano i membri del consiglio d’amministrazione si sono
aumentati lo stipendio del 12,5% in un solo anno. La modestissima richiesta
sindacale prevedeva per i lavoratori solo un adeguamento all’inflazione
programmata ovvero 1,4%, il nostro stipendio è fermo da oltre quattro anni.
Il Ccnl 2002-2003 prevedeva peggioramenti
consistenti delle condizioni di lavoro. Allora ci veniva spiegato che in questo
modo si sarebbero risollevati i conti delle aziende. Poi, tutti ne avrebbero
tratto vantaggio, anche i lavoratori. E cosa ci raccontano oggi? I nostri
sacrifici non sono bastati, la cinghia è stata tirata troppo poco, possiamo
stringerla ancora di più. I lavoratori sono stufi di questi ragionamenti! Le
aziende non hanno i soldi? Aprano i libri contabili e vediamo come sono stati
spesi, dove sono finiti, come vengono investiti. A Milano li hanno investiti in
obbligazioni Cirio… ed ai lavoratori viene chiesto di aprire nuovamente il loro
portafoglio per risanare i conti delle aziende!
Cercano di spiegarci che firmando la nuova intesa
hanno difeso il contratto nazionale. Subito dopo la firma si è cercato di
aprire tavoli di trattativa locali per aggiungere qualche spicciolo
all’elemosina concessa a livello nazionale. Strano a dirsi non lo hanno fatto
solo le aziende che formalmente risultano in attivo, ma quelle dove più alta è
stata l’adesione agli scioperi nel tentativo di calmare le acque e prendere
tempo. Questo avviene proprio perché quanto previsto dal Ccnl non basta: se una
parte consistente del salario è legata ad una trattativa locale o aziendale si
sta di fatto mettendo una pietra sopra il contratto nazionale.
Il trasporto locale è un servizio di pubblica utilità è come tale
andrebbe trattato e finanziato da tutti. Accettando qualsiasi ragionamento che
parta dai bilanci in attivo delle aziende, si cade necessariamente a sostenere
la logica privatista e del profitto.
Prossimo obiettivo: deragliare le
lotte
Molti “opinionisti” tutt’altro che disinteressati,
con la paura che si leggeva in volto, hanno tentato di spiegare in queste
settimane che lo sciopero come strumento di protesta è ormai superato,
metabolizzato dagli utenti che hanno il tempo di organizzarsi ed attutire i
disagi del blocco dei trasporti.
Qualcuno si è spinto a spiegare che non si arreca
un danno nemmeno alle stesse imprese, perché il giorno dello sciopero
risparmiano gasolio, gli introiti sarebbero in ogni caso garantiti dagli
abbonamenti ed ovviamente non si devono pagare le prestazioni non effettuate
dai lavoratori. Purtroppo a dire queste scemenze c’è anche qualche
sindacalista, tra i quali spicca il nome del Segretario Fit-Cisl della
Lombardia Dario Ballotta; i lavoratori gli hanno tributato una calorosa
accoglienza, quasi linciandolo in un’assemblea al deposito Sarca di Milano. Ci
auguriamo che di sindacalisti di tale spessore i lavoratori ne facciano a meno
nel prossimo futuro.
A Milano i ricavi degli abbonamenti sono di 187mila
euro, mentre per la vendita dei biglietti l’introito è di 600mila euro. Con il
blocco del 1° dicembre la Camera di Commercio ha stimato una perdita di
fatturato di 140milioni di euro, pari a circa il 13% del fatturato normale.
Secondo il Ministro Lunardi, ogni giornata di sciopero è costata circa 30
miliardi di vecchie lire a livello nazionale. È vero che lo sciopero è un’arma
spuntata, ma solo nella misura in cui le leggi 146/90 e 83/00 impongono
ostacoli all’esercizio di questo nostro diritto: queste leggi sono un inganno e
vanno abolite!
Perché i lavoratori Atm sono diventati paladini
della categoria? Perché tutti i giornali si sono accorti della nostra lotta?
Perché sindaci, prefetti e governo si sono spaventati tanto? Questo è avvenuto
solo perché i lavoratori hanno riscoperto la loro forza, hanno osato nuovamente
riappropriarsi del diritto di sciopero. Malgrado la legge antisciopero e gli
interventi dei prefetti che hanno precettato gli scioperanti intimandogli di
riprendere il servizio, la lotta non è stata fermata; per l’interruzione di
pubblico servizio la legge prevede una multa di almeno 256 euro ed il carcere
per un periodo compreso tra sei mesi e due anni. I lavoratori non si sono
fermati di fronte a quest’attacco e sono rifiorite le migliori tradizioni della
lotta di classe: assemblee permanenti, blocchi improvvisi, scioperi bianchi,
ecc. È la riscoperta delle migliori tradizioni del movimento operaio: negli
anni ’70 per far ripartire i mezzi a Milano dovettero intervenire gli autieri
dell’esercito.
Referendum?
Dopo la firma del contratto sembra farsi strada
nella sinistra sindacale della Cgil e nei sindacati di base l’idea di un
referendum vincolante tra i lavoratori; per referendum la Cisl intende una
consultazione dei propri iscritti e non di tutti i lavoratori della categoria;
la Uil intenderebbe consultare i lavoratori con assemblee oppure riunendo i
delegati del Rsu di tutta Italia per una votazione, gli stessi che sono stati
scavalcati dalla mobilitazione diretta dei lavoratori.
Nelle condizioni attuali indicare come via di
uscita il referendum, rischia di essere una strada per prendere tempo e
stemperare la rabbia dei lavoratori, rischia di non essere lo strumento per far
sentire la nostra voce, la voce di chi - con tenacia - ha alimentato la
mobilitazione di questi ultimi mesi. Non sono nemmeno pochi gli esempi in cui i
lavoratori bocciano un accordo sindacale in un referendum, ma la volontà dei
lavoratori è ignorata dai vertici sindacali…
I lavoratori, l’accordo lo hanno già bocciato con
gli scioperi che sono proseguiti e, in alcuni casi, sono iniziati dopo la firma
del contratto, non appena i lavoratori hanno avuto notizia dei termini
dell’accordo. A Roma i delegati sono riusciti a contenere la rabbia, con il
pretesto che bisognava rimanere nelle “regole” per sostenere la trattativa,
sino alle 17.30 di sabato 20 dicembre. Quando sono arrivate le cifre previste
dall’accordo raggiunto, la rabbia è esplosa e gli stessi delegati hanno dovuto
assecondare il rientro dei mezzi ai depositi. I termini dell’intesa hanno
spinto i lavoratori a bloccare tutto: nessun mezzo è più uscito in quella
giornata.
Qualunque sia la proposta di referendum che sarà
presentata, i lavoratori dovranno usarla per esprimere il loro dissenso, ma la
strada maestra è un’altra: costruire nei luoghi di lavoro una direzione
alternativa alle burocrazie sindacali. È necessario far fare un salto di
qualità alla mobilitazione fin qui intrapresa. Devono essere i lavoratori ad
eleggere i propri rappresentanti in ogni deposito, i quali devono coordinarsi a
livello provinciale, regionale ed infine nazionale per essere l’espressione
diretta della volontà dei lavoratori.
Costruire un nuovo sindacato?
Un limite delle mobilitazioni è stato la
spontaneità. Nonostante l’estrema determinazione dei lavoratori a continuare la
mobilitazione, abbiamo visto molta confusione sulla reale situazione e sui
rapporti di forza negli altri depositi e nelle diverse città, dove le voci si
rincorrevano e si smentivano di minuto in minuto senza un punto di riferimento
preciso e riconosciuto. Questa situazione, ha fatto il gioco delle aziende e
dei burocrati sindacali che hanno potuto manovrare per stemperare la rabbia e
seminare frustrazione tra i lavoratori. Non è più possibile limitarsi a
prendere atto del malessere per cercare di cavalcarlo, la lotta va organizzata
a livello nazionale.
Il compito impellente nel prossimo periodo non è
costruire un nuovo sindacato come qua e là qualcuno avanza. Esistono già 35
sindacati diversi nel settore del trasporto pubblico locale; questa
frammentazione si è aggravata ad ogni tradimento da parte delle burocrazie
sindacali. Purtroppo, la burocrazia sindacale è ancora al suo posto: Cgil Cisl
e Uil detengono il 74% degli iscritti del settore e, soprattutto, continuano a
firmare sulla testa dei lavoratori accordi sempre peggiori. Il 10% dei
lavoratori è iscritto alla Faisa-Cisal, il 7% alla Ugl e solo il restante ai
sindacati di base.
Il problema è democratizzare il sindacato,
diventato sordo alle richieste dei lavoratori. Il sindacato deve difendere i
nostri interessi, è nato per difenderci e rappresenta uno strumento
fondamentale per la nostra tutela: senza un’organizzazione non siamo altro che
materia grezza pronta per essere sfruttata. La critica che deve generalizzarsi
non è contro l’idea del sindacato in sè, ma contro la politica concertativa della
burocrazia sindacale. Il sindacato deve essere dei lavoratori e dobbiamo
riprendercelo!
Abbiamo detto all’inizio che in questa battaglia ci
sono tutte le condizioni per vincere, tranne una: una direzione sindacale
all’altezza dei compiti imposti dalla storia.
Non c’è nessuna scorciatoia possibile alla
costruzione di una direzione alternativa del movimento operaio; l’alternativa
non s’improvvisa: costruiscila con noi!